Saper valutare il rischio per evitare recidive e femminicidi. Un articolo di Marina Calloni

Saper valutare il rischio per evitare recidive e femminicidi. Per una formazione obbligatoria per operatori e operatrici

di Marina Calloni

Articolo pubblicato su La 27esima Ora del Corriere della Sera, 10 settembre 2022

Difficile rinunciare all’abitudine di alzarsi al mattino, leggere i giornali, scorrere i siti, informarsi, commentare i fatti del giorno. Ma in questa estate dalle multiple urgenze e sovrapposte emergenze, il numero delle cattive notizie è stato di gran lunga superiore a quelle buone…. E vi è una notizia che speriamo sempre di non rileggere mai più: anche oggi una donna è stata ammazzata da chi avrebbe dovuto amarla e rispettarla. I femminicidi diventano sempre più cruenti nella forma e nell’accanimento di un odio cieco che si scaglia contro donne inermi, disumanizzate nell’atto dell’estrema crudeltà.

Sono ormai anni, anche quando Salvini era Ministro degli Interni, che i dati del Viminale indicano come il pericolo non provenga dall’esterno, bensì si annidi in ambito domestico e affettivo. Anche quest’anno, il Dossier Viminale – pubblicato a Ferragosto dal Ministero dell’Interno – conferma la diminuzione di crimini quali rapine e furti. Non calano invece i femminicidi, anzi aumentano. Le donne sono il 39,2 per cento del totale delle vittime di omicidio volontario. Fra il 1° agosto 2021 e il 31 luglio 2022 sono state uccise 125 donne, 108 in ambito familiare o affettivo, fra cui 68 da parte di un partner o di un ex. Incrementati anche gli ammonimenti da parte del questore, a segno di un aumento della violenza di genere. Stessi dati vengono indicati nei report settimanali su Omicidi volontarie violenza di genere, pubblicati dall’Osservatorio del Ministero degli Interni.

Ciò che è però più sconvolgente è la lettura – a posteriori – di voci e di vite spezzate, in un progressivo ricordo corale che tanto ricordano gli epitaffi delle anime di Spoon River. Nell’età dei social media, messaggi, fotografie, confidenze tracciano i segni di femminicidi spesso prevedibili, se non addirittura evitabili. Le righe scritte saranno a disposizione di magistrati ed avvocati per incriminare l’omicida, se non sarà stato così vigliacco da togliersi la vita per non essere giudicato su questa terra. Voci inascoltate diventano però per noi fonti di domande radicali: poteva essere evitata questa morte? Com’è possibile che un uomo “normale” si sia trasformato in un killer efferato?

I messaggi rimandano bensì ad altro: a carenze nell’intervento e ad una mancata valutazione del rischio. Si tratta di uno specifico procedimento che operatori/trici devono sapere utilizzare in caso di querele, emergenze, richieste di aiuto. Le donne vanno protette, così come l’abusante deve essere fermato per tempo. Bisogna credere alla paura delle donne perché minacciate, controllate, non più in grado di svolgere la propria vita nella normalità quotidiana con la propria incolumità messa in pericolo

Sono ormai innumerevoli i casi e gli studi che dimostrano che nessun femminicidio avviene senza preavviso: non è mai un atto imprevisto dovuto a raptus. Lasca segni. È pensato nel tempo. Le morti sono sempre anticipate da una escalation della violenza. Dopo un certo grado, come ricordano i criminologi, diventa difficile far retrocedere dal suo proposito l’omicida, carico di rabbia, rinchiuso in una paranoia vittimistica: la colpa è della donna perché l’ha abbandonato, perché non vuole più essere controllata. Uno dei casi maggiormente dibattuti nelle ultime settimane ha riguardato la morte di Alessandra Matteuzzi a Bologna, ad opera di Giovanni Padovani, il calciatore che aveva fatto da “modello” per la sua squadra, il Troina, per la campagna contro la violenza sulle donne. Il mancato intervento da parte del magistrato era stato motivato col fatto che “i testimoni erano in ferie”, “non vi era stata violenza fisica”, “non emergevano situazioni di rischio concreto di violenza; era piuttosto la tipica condotta di stalkeraggio molesto”. Ma la violenza fisica è solo uno degli elementi che determinano il femminicidio. I segnali di una situazione ad alto rischio erano invece inequivocabili. Sono testimoni – purtroppo a posteriori – le dichiarazioni rilasciate da Alessandra nella querela che aveva presentato («Riesce sempre a entrare di nascosto nel condominio dove abito e io ho il timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa o apro le finestre»), i racconti di familiari e vicini allertati, i messaggi lasciati sul cellulare. Non c’era più amore, ma solo terrore: «Lo assecondo sempre perché ho paura di scatenare la sua rabbia». Padovani continuava a molestarla via social, aveva rubato le chiavi di casa, distaccato l’elettricità, messo lo zucchero nel serbatoio, bucato le gomme dell’auto. L’assoluto delirio di controllo era evidente: «Pretendeva che lei gli mandasse un video ogni 10 minuti, in cui comparissero l’ora e il luogo in cui si trovava, facendo scenate in caso di violazioni di tali prescrizioni», come scrive il magistrato dopo l’arresto del femminicida. L’ex le aveva «persino carpito le password di posta elettronica e di messaggistica per controllarne le conversazioni con terzi», perché sospettava che lei lo tradisse.

Da queste notizie raccolte post-mortem, come si può sostenere che non ci fosse un’alta probabilità di femminicidio? Ci sono in effetti strumenti per valutare il rischio, scongiurare la recidiva, evitare omicidi, anche secondo le raccomandazioni dello European Institure for Gender Equality. I metodi di valutazione – provenienti dall’integrazione di esperienze istituzionali e associative – sono utilizzati anche in Italia e sono principalmente due: il S.A.R.A. Plus (introdotto dalla compianta Costanza Anna Baldry) e il D.A.S.H. Il S.A.R.A. (Spousal Assault Risk Assessment) è stato sperimentato come metodo empirico predittivo per la prima volta in Canada ed è entrato in vigore in Italia, seppur con qualche modifica. Il D.A.S.H. (Domestic Abuse, Stalking and Honour Based Violence) è stato elaborato per conto dell’Association of Chief Police Officers e dalla Coordinated Action Against Domestic Abuse (ora SafeLives). Si tratta di uno strumento agile che si basa su una serie di domande e su una checklist, che sia in grado di poter verificare – alla fine della compilazione – il livello di basso, medio e alto rischio per la donna (ma anche per i figli). In tal modo, si intende evitare la recidiva e l’escalation della violenza, prendendo di conseguenza le misure necessarie.

Lo screening, che prende in considerazione l’intero nucleo affettivo, può essere utilizzato da: forze dell’ordine, magistratura, assistenti sociali, operatori dei servizi socio-sanitari, pronto soccorso ospedalieri, operatrici di centri antiviolenza, servizi di assistenza per le vittime di maltrattamenti. Ma è anche importante strumento di auto-valutazione per le donne che possono così utilizzare per comprendere meglio la situazione di reale rischio in cui si trovano, purtroppo talvolta sottovalutato (il famoso “ultimo appuntamento”…) .
La valutazione del rischio da parte degli operatori /trici coinvolti/e e uniti da un lavoro in rete è utilizzata In Italia da anni, ma senza avere un carattere di obbligatorietà.

Di fronte agli ennesimi femminicidi, diventa improrogabile la necessità di una formazione specifica sui fattori di rischio che determinano recidive e omicidi e del rafforzamento di una vasta sensibilizzazione pubblica sul tema. L’attuazione del Piano Strategico Nazionale sulla Violenza Maschile contro le Donne 2021-2023 riguarda innanzitutto la prevenzione. Sarebbe quindi fondamentale introdurre nei piani esecutivi adeguate misure per l’obbligo della valutazione del rischio da parte di operatori/trici interessati, preceduto da una adeguata formazione professionale sia in itinere, sia continua. Non deve essere però intesa solo come conoscenza da parte di un singolo, bensì come un processo valutativo condiviso dalla rete di supporto di cui fa parte, nel rafforzamento di competenze e di responsabilità partecipate. E forse molti femminicidi potranno essere evitati, poiché il rischio era prevedibile.

Marina Calloni è direttrice del centro di ricerca dipartimentale ADV – Against Domestic Violence, Università di Milano-Bicocca.